‘Il mestiere di uomo’ è l’ultimo libro del professor Umberto Veronesi. Una sorta di intimo memoir dove l’oncologo, teorizzatore e sostenitore della quadrantectomia, racconta i motivi del suo ineluttabile allontanamento dalla fede cattolica.
«Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio.»
Una frase durissima, una presa di posizione netta che si inserisce nel ritratto di un uomo laico, o meglio di agnostico. Quel tipo di uomo che dichiara inconoscibile tutto ciò che non può essere sottoposto a una verifica razionale e si astiene, quindi, da un giudizio. Di fronte a un bambino consumato da un tumore inguaribile, Veronesi non crede che ci siano verità rivelate che possano lenire il dolore dei suoi genitori. Lui non crede, preferisce stare in silenzio.
E non è il solo.
Leggendo “Il mestiere di uomo”, che uscirà domani pubblicato da Einaudi, ci troveremo di fronte alla vita vissuta di Umberto Veronesi, che prima di essere un oncologo di fama internazionale, è stato un bambino come tutti. Nato nel novembre del 1925, ha respirato l’aria di chiesa e di incenso come un ligio chierichetto, ha vissuto il nazismo, ha studiato e si è concentrato più di altri sull’essenza del dolore, della sofferenza e della vita. Negli anni ha portato avanti numerose campagne, dalla depenalizzazione delle droghe leggere all’eutanasia, passando per il vegetarianismo di cui è strenuo promotore. Dal suo racconto della guerra fino agli incontri con le sue migliaia di pazienti operate per il tumore al seno, avremo modo di porci le stesse domande che si pone lui ogni giorno. Potremo interrogarci sui dogmi, sulla fede, ma soprattutto sull’entità del male, della malattia e del cancro. E magari sussurrare come lui… “Non so”.